L’interno

L’interno della chiesa è ad aula, pavimentata in cotto antico e con voltata a padiglione ad unghie; prende luce da tre oculi che si aprono sulla destra e dalla finestra in facciata.

L’aula è fortemente caratterizzata dalla presenza di altari e arredi lignei che ne disegnano gli spazi. Il presbiterio presenta una finestra con grata aperta sul locale un tempo destinato a coro delle monache.


OPERE D’ARTE

a cura della Prof. ssa Maria Lucia Menegatti

Altare maggiore

Madonna col Bambino in gloria fra i santi Chiara, Francesco e le Cappuccine adoranti l’Eucarestia di Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino (1609 circa, olio su tela, cm 249 x 169)

Il dipinto fu realizzato per la primigenia chiesa delle Cappuccine nel luogo detto la “Volta del Turco” e quindi trasferito nel 1646 all’altare maggiore della nuova sede in Corso della Giovecca (Novelli, 2008; Lapierre, 2018). Concordemente citato dalle fonti con la corretta attribuzione a Scarsellino, il dipinto guarda, forse per volontà della committenza, alla Madonna in gloria con le sante Barbara e Orsola venerate dalle zitelle eseguita da Bastarolo per l’Oratorio di Santa Barbara tra il 1586-89. Seguendo un’impostazione prettamente post-tridentina, la pala si suddivide tra la parte celeste della zona superiore, con la Vergine e il Bambino tra i santi Francesco e Chiara e gli angeli, e la parte terrena della zona inferiore, con le cappuccine inginocchiate ai piedi dell’altare. La rivelanza dell’Eucarestia, centro della scena e allo stesso tempo congiunzione tra le due zone del dipinto, sottolinea il suo ruolo salvifico per gli uomini. Il Bambino si protende verso santa Chiara, mentre san Francesco indica alla Madonna le suore cappuccine tra le quali potrebbero forse riconoscersi le tre fondatrici della chiesa, Chiara Bonomi, Bonaventura Morandini e Agnese Beltrami (Lapierre, 2013).


Altare di destra

Madonna con il Bambino e i santi Antonio Abate, Lucia, Giovannino ed Elisabetta di Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino (1609 circa, olio su tela, cm 210 x 135)

Ricordato unanimente dalle fonti locali all’altare destra della chiesa con attribuzione oscillante tra Carlo Bononi e Scarsellino, il dipinto è riconducibile senz’altro alla mano di quest’ultimo. Felice esempio della capacità di Scarsellino di coniugare la tradizione ferrarese cinquecentesca e la pittura veneziana contemporanea (Ghelfi, 2015), la pala presenta in alto due angeli che cantano leggendo un libro, mentre altri tre suonano viola, violone e organo. La scena riproduce una pratica devozionale alla Madonna diffusa all’epoca, quella cioè del canto polifonico a due voci più uno strumento solista – la viola –, accompagnato dall’organo e dal violone (Valentini, 2009-2011). Da ritenersi, per ragioni stilistiche, più antico della pala eseguita dallo stesso Scarsellino per l’altare maggiore, il dipinto potrebbe essere stato realizzato per una committenza diversa ed essere stato successivamente donato alla chiesa (Novelli, 2008).


Altare di sinistra

San Carlo Borromeo di Giovanni Bonardi (olio su tela, cm 210 x 135)

Girolamo Baruffaldi, nell’annotare la Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara di Carlo Brisighella (ed. Novelli, 1991) scrive che l’altare di San Carlo «in vece d’un quadro, ch’era del Farina, alias Magagnini, ch’è stato levato, ne ha un altro modernamente fatto da Giuseppe Bonardi pittor veneziano». Il San Carlo Borromeo di Bonardi andò dunque a sostituire un quadro di Giovan Battista Magagnino detto il Farina (Ghelfi, 2011), pittore che Guarini (1621) menziona a proposito della sede primigenia delle Cappuccine nella “Volta del Turco” dove esisteva un altare dedicato «a S. Giovambattista, e dotato da Giovambattista Magagnino detto il Farina buon pittore Ferrarese, al quale vi si celebra d’obbligo».


Nel Presbiterio, a destra

Crocifisso di Anonimo padovano (sec. XVIII, legno policromo, cm 270 x 115)

Costantemente citato dalle fonti settecentesche, che lo attribuiscono ad artista padovano di cui tuttavia non si indica il nome, il Crocifisso fu donato alle Cappuccine nel 1705 dal benefattore Francesco Chierini. La sua sistemazione «nela Tribuna del SS.mo Sacramento» fu voluta da don Carlo Antonio Magnani, confessore delle monache, e sostenuta dalle sovvenzioni del marchese Onofrio Bevilacqua (1655-1738), allora sindaco delle Cappuccine, e di altri benefattori (Lombardi, 1975). Nell’annotare la Descrizione di Carlo Brisighella, Baruffaldi riporta che nello stesso sito del Crocifisso era visibile una Fuga in Egitto di Antonio Randa, non identificata e non citata da altre guide (ed. Novelli, 1991; Beretti, 2016).


Nella nicchia in prossimità del presbiterio

Immacolata di Andrea e Giuseppe Ferreri (legno policromo, cm 110)

La statua, iniziata da Andrea Ferreri (1673-1744), secondo Giuseppe Antenore (Scalabrini, 1773) fu ultimata dal figlio Giuseppe al quale spetterebbe l’ideazione del serpente (Barotti, 1770). A Cesare Cittadella (1783), spetta un articolato racconto sulla genesi della statua, da ultimo “colorata” dal pittore Giuseppe Ghedini (1707-1791), e sulle copie che ne vennero tratte. Tra le opere di Andrea Ferreri Cittadella elenca infatti

«Nella chiesa delle Cappuccine su l’Altare a mano manca la statuetta di legno della Concezione, che poi dipinta venne a miei giorni dal Ghedini, aggiontovi per mano di Giuseppe Ferreri suo figlio il serpente. La detta statuetta fu da me ricopiata con la maggior attenzione l’anno 1752 per il Sacerdote amico D. Sante Folchi, mentre che altra copia della medesima ne fece Pietro Turchi in creta per il Sig. D. Alessio Bassi […]: questa Immagine della Concezione ancor fresca abbandonata dal Turchi a mezza via fu da me in qualche modo di mala voglia terminata».

Tratto distintivo della chiesa, annotato dalle guide per la sua sobria bellezza, sono gli ornamenti lignei in larga parte dovuti alla generosità di don Giuseppe Squarzoni, sacerdote e dottore in legge, benefattore delle monache, sepolto nel 1765 sul sagrato (Ughi, 1804), che a proprie spese ornò gli altari della chiesa di «ben intese intrecciature di variati, e semplici legni achitettati, con sedilj, e genuflessori intorno con somma, ed altrettanto umile polizìa» (Scalabrini, 1773). Oltre ai tre altari «di scelti, lucidissimi, odorosi Legni» (Canonici Facchini, 1819), merita menzione anche «il tabernacolo dell’altar maggiore finemente intarsiato in legni di frutto e madreperla» (Toschi Cavaliere, 2005).


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